23 novembre 2023

L'importanza della diversità nelle organizzazioni: strategie per migliorare le performance - Intervista a Sara Burigo



Laureata in International Relations & Finance presso l’Università degli Studi di Trieste, Sara Burigo vanta una lunga carriera internazionale nell’ambito finanziario iniziata in Citigroup Panama come Risk Managament Officer. Nel 1999 si trasferisce a Londra per iniziare una carriera in investment banking prima a UBS e poi dal 2001 in Goldman Sachs, dove ha ricoperto diversi ruoli a livello Europeo gestendo relazioni con fondi istituzionali e hedge funds su scala globale.

Dal 2010 in qualità di managing director assume responsabilità del team di convertibili a Londra e successivamente per tutta Europa, con un ruolo più ampio anche a livello di derivati. In questo contesto diventa un’attrice importante nel mercato primario, lavorando a stretto contatto con società pubbliche e private nella strutturazione, pricing e nella collocazione di strumenti di finanziamento da convertibili a debito a SPACs. Dopo diversi anni trascorsi all’estero, rientra in Italia nel settembre del 2021 dove continua a ricoprire la carica di Head of Convertible Bonds Sales Europe e responsabile sales locale. Business angel IAG, conosciamola meglio.

Puoi condividere la tua esperienza e background professionale? Come è stato il rientro in Italia dopo tanti anni trascorsi all’estero?

Devo ammettere che la mia carriera in Investment banking è iniziata un po’ per caso. Il mio sogno era quello di diventare ambasciatore e di viaggiare per il mondo, ecco perché ho seguito un percorso universitario indirizzato all’ambito diplomatico. Mentre lavoravo sulla tesi ho avuto la fortuna di entrare in contatto con l’AIESEC (associazione di Studenti in Scienze Economiche) e con il loro aiuto ho iniziato un internship presso la tesoreria di Citigroup Panama. Pensavo “L’America centrale è il posto perfetto, banking un po’ meno ma mi darà la possibilità di fare un’esperienza all’estero e nel frattempo potenzialmente di collaborare con il consolato”. Alla fine, mi sono resa conto che banking non era quello che pensavo e che in realtà era un ambiente molto dinamico con persone interessanti e con molta voglia di fare e di imparare.

Quindi ho deciso di intraprendere una carriera in investment banking a Londra, prima con UBS e successivamente con Goldman Sachs. I mercati mi hanno sempre affascinata ed operare nel trading floor in una delle piazze principali del mondo è stata un’esperienza unica. Quello che più mi ha stimolato è stato lavorare con clienti e colleghi alla costante ricerca di nuove soluzioni finanziare per rispondere alle esigenze di mercato, dalla crisi finanziaria del 2008 alla crisi del debito sovrano europeo nel 2015, alla pandemia del 2020. Le crisi (ahimè) sono state le più interessanti: sono stati i momenti dove ho imparato di più ed ho avuto modo di mettermi veramente alla prova, specialmente nelle operazioni di capital raise per grosse società Europee.

La fase del mio lavoro che ho trovato più impegnativa ma anche più gratificante è stato ricostruire il team di convertibili Goldman Sachs, dopo aver convinto il management che era il momento giusto per investire: scegliere le persone giuste e creare uno spirito di gruppo non è facile ma è la ricetta per il successo. Nel giro di tre anni siamo diventati n° 1 in Europa per trading volume. Inoltre, la redditività è più che quadruplicata. La decisione di venire in Italia è stata più personale che professionale: sentivo che il team avrebbe continuato a funzionare al meglio e cercavo una nuova sfida che mi riavvicinasse al mercato italiano rimanendo parte della famiglia di Goldman.

Quali sono state le principali motivazioni che ti hanno spinto ad entrare nel mondo degli investimenti come business angel?

Era da tempo che volevo entrare nel mondo dei business angels, sia come opportunità di investimento ma soprattutto lo trovo un modo di contribuire alla crescita e all’innovazione nel mio Paese. L’Europa è ancora molto indietro rispetto agli Stati Uniti nel campo del venture capital. Per esempio, nel 2023 c’erano solo 150 unicorni in Europa vs oltre 600 in US. La nota positiva è che gli investimenti in venture capital sono aumentati in modo esponenziale negli ultimi anni, triplicati tra il 2015 e 2022 arrivando fino a 130bln, grazie anche al regime regolamentare e agli incentivi governativi. Una delle ragioni per cui L’Europa rimane indietro rispetto agli Stati Uniti è la mancanza di seed capital: 60% proviene da business angels vs solo il 30% in Europa. Da qui è scaturita la mia voglia di essere più coinvolta in questo ambito.

Mi ero avvicinata all’ambito VC già a Londra, partecipando ad investimenti con colleghi e poi prendendo parte attiva in qualità di mentor e financial advisor a seminari organizzati da Goldman per startup (10k small businesses program). Sono rimasta affascinata dall’entusiasmo e dalla voglia di innovare di molti degli imprenditori che ho incontrato. Rientrata in Italia ho cercato un modo un po’ più sistematico di investire in startup. Volevo cominciare a “sporcarmi le mani”, non solo investire ma anche assumendo un ruolo più attivo di mentoring. Quando sono stata introdotta a IAG, non potevo immaginare un modo migliore per entrare nel mondo dei business angels e già dagli inizi è stato un percorso eccezionale, sia dal punto di vista di screening di startup che di collaborazione con altri soci del gruppo.

Data la tua esperienza professionale, qual è il ruolo delle leadership nell'incoraggiare e sostenere la diversità e l'inclusione?

Come leaders abbiamo una responsabilità enorme nel sostenere la diversità e l’inclusione. Il mentoring delle colleghe più junior è importante ma non basta, ci vuole vero sponsorship. Per anni ho svolto un ruolo attivo come Head della Women Network di Goldman a Londra: abbiamo iniziato a piccoli passi creando un senso di comunità e cercando di aumentare la visibilità al senior management contemporaneamente lavorando a stretto contatto con le risorse umane. Per fare veramente la differenza però bisogna creare una massa critica al vertice: abbiamo iniziato costruendo processi più trasparenti nella fase di recruiting sia a livello universitario, dove siamo arrivati a 50% donne nella classe di analisti, che a livello più senior, dove generalmente si tende a perdere più donne, ma poi soprattutto siamo intervenute più attivamente nel processo di promozione, creando un vero e proprio programma di sponsorship con la partecipazione diretta del senior management. Diventa un circolo virtuoso, più si promuove diversità ai vertici e più si attirano candidati di background diversi e il posto di lavoro diventa più inclusivo. Le donne sono solo un aspetto della diversity: il tema degli immigrati e della loro integrazione è ugualmente importante specialmente in Italia dove la percentuale di italiani di prima generazione è in netto aumento (11% oggi vs meno di 9% nel 2010).

Quanto ritieni importante promuovere la diversità e l'inclusione nelle startup in cui investi e quali cambiamenti speri di vedere in questo settore nei prossimi anni?

Promuovere la diversità nelle startup è importantissimo per me. Prima di tutto è una questione di returns: le società dove c’è più diversità tendono a generare migliori rendimenti - in una recente pubblicazione di Blackrock che analizza 1250 società a livello globale è emerso che dal 2013 a oggi le società con una forza lavoro equilibrata dal punto di vista del genere hanno sovraperformato il resto di oltre il 2%. Inoltre, è dimostrato che la diversità non solo migliora i risultati delle società ma fornisce anche una spinta economica notevole: in un recente studio di Goldman intitolato “Women (still) hold up half of the sky” si trova che diminuendo la “gender inequality” della metà si potrebbe aumentare il PIL a livello mondiale del 5-6%. Le startup sono proprio all’inizio di questa catena, quindi sono un elemento importante per promuovere il cambiamento. In questo contesto l’educazione ha un ruolo fondamentale: non solo borse di studio e programmi di formazione per donne e minorities che vogliono intraprendere una carriera imprenditoriale ma educazione a livello scolastico su cosa significa diventare un imprenditore e creare la propria società. A livello scolastico manca ancora completamente un training finanziario basico, a meno che non studi economia/contabilità.

Anche se siamo ancora lontani con solo il 10% delle startup nel 2022 create da teams di sole donne, rimango ottimista per il futuro. La mia speranza è che i cambiamenti che stanno prendendo piede nel mercato pubblico piano piano si faranno sentire anche nel mercato privato: dalla mia esperienza degli ultimi anni ho notato un cambiamento netto da parte degli investitori che ha portato ad un ruolo più attivo nell’ambito ESG ed ha forzato società a porsi obiettivi concreti per migliorare la diversità, in mancanza dei quali rischiano di non riuscire a raccogliere capitale dagli investitori e si trovano a pagare costi di funding più elevati.