17 febbraio 2023

Francesca Gargaglia: "La passione salverà le startup e le startup salveranno il mondo"



Co-fondatrice e Chief Operating Officer di Amity, Francesca guida l'espansione e la crescita globale dell'azienda. Originaria di Perugia, si è laureata in Giurisprudenza all'Università Bocconi e ha iniziato la sua carriera a Dubai, lavorando per lo studio legale Baker McKenzie. Successivamente è entrata in PwC e si è trasferita in Sudafrica, dove ha vissuto per tre anni, per dirigere il Desk europeo di PwC nella regione sub-sahariana.

Giurista diventata imprenditrice, nel 2019 ha seguito la sua passione per l'innovazione e ha co-fondato la startup Amity insieme ai thailandesi Korawad Chearavanont e Arthur Krasingkorn, e all'americano David Zhang. Oggi Amity è un'azienda tecnologica in rapida crescita con centinaia di clienti e oltre 250 dipendenti in quattro uffici globali.

Lo scorso 21 ottobre Francesca è salita sul palco del primo TEDx italiano dedicato al Venture Capital e all’ecosistema innovazione italiano sponsorizzato da Italian Angels for Growth insieme ad Azimut e Fondazione Golinelli (Qui il link per vedere il suo talk). Conosciamola meglio.

Startupper italiana, under30, con diverse esperienze internazionali alle spalle, che decide di fondare una società del deep tech (Amity) a Londra: qual è il tuo background e il tuo percorso professionale?

Ho un background un po’ anticonvenzionale nel mondo startup, perché ho studiato legge. Ho sempre amato viaggiare, quindi fin dall'università ho colto ogni occasione possibile di fare esperienze di studio e lavoro all’estero: questo mi ha portato in Brasile, in Cina, e infine in Indonesia, dove ho scritto la mia tesi. Dopo la laurea ho iniziato a lavorare nel settore della consulenza, specializzandomi nel supportare aziende Italiane ed Europee nel loro processo di espansione in Paesi in via di sviluppo. Amavo il mio lavoro, ma ammetto che i processi lenti e rigidi tipici delle grandi aziende mi stavano un po’ stretti. È per questo che, quando a un evento di lavoro ho conosciuto Korawad e mi ha proposto di unirmi a lui nel suo progetto di startup, ho deciso di cogliere al volo questa occasione di cimentarmi in un settore in rapida crescita e molto dinamico.

Il tuo speech durante TEDxBologna è stato incentrato sul perché del fallimento di molte startup negli ultimi periodi. Perché è importante analizzare il legame tra una crescita sempre più rapida e una maggiore vulnerabilità delle società?

Perché penso che la cosiddetta hypergrowth - la crescita rapidissima agognata dalla quasi totalità dei founders e mitizzata da tutti gli attori dell’ecosistema startup - ci stia dimostrando in questi anni la sua fondamentale insostenibilità. Il culto del “crescere più veloce possibile”, infatti, spinge sempre più imprenditori ad investire la quasi totalità dei fondi a loro disposizione in espansione, rendendo l’azienda dipendente da continue iniezioni di capitale esterno, e quindi profondamente vulnerabile ed esposta alla volatilità del mercato. Questo, in periodi di crisi, si traduce in licenziamenti di massa, ed in centinaia di startups che si vedono costrette a chiudere. Sono dell’idea che questo abbia un impatto negativo sulla società, e che pertanto sia necessario iniziare a parlare più spesso di questo fenomeno e, soprattutto, presentare ai giovani che sognano di essere startupper dei modelli di imprenditoria alternativi e sostenibili, in cui il successo non si misura in termini di rapidità della crescita, ma piuttosto in termini di valore creato nel medio-lungo periodo. La corsa verso il successo, a mio avviso, è una maratona, e non uno sprint. Un progetto di startup mosso solo dall’ossessione dell’hypergrowth perde la sua natura più bella, che è proprio quella di avere un impatto significativo sulla società. Tutte le aziende tecnologiche che sono per me un grande esempio, hanno impiegato almeno dieci anni ad arrivare ad essere considerate un “unicorno”, ed hanno sempre agito avendo un progetto di lungo periodo. Questo è quello che stiamo provando a fare anche in Amity.

Sul tuo profilo LinkedIn consigli tre rigorosi step da seguire ogni volta che devi prendere una decisione importante:

1) Raccogliere e analizzare il feedback di familiari, amici e mentors.

2) Annotare e valutare attentamente i pro e i contro;

3) Ignorare sistematicamente tutto quanto sopra e seguire l'istinto. Vi assicuro che non ve ne pentirete!

Quanto è importante assumere una buona dose di rischio per diventare un’imprenditrice di successo? Quali sono invece i trend di mercato da analizzare in maniera più razionale?

Innovazione e rischio sono due facce della stessa medaglia per ogni storia di successo imprenditoriale. Se ripercorriamo le storie di ogni grande imprenditore/imprenditrice, nessuno di loro ha conquistato il mercato seguendo ciò che c’è scritto sui libri. Ognuno di loro ha fatto una o più mosse inaspettate e coraggiose che magari inizialmente hanno portato a fallimenti o a progetti nati e abortiti subito dopo, ma hanno dato vita poi a qualcosa di nuovo e rivoluzionario. Se non si segue l'istinto e non si esplorano territori mai battuti prima, non si può parlare di innovazione.

Dall’altra parte, credo che tutto ciò che ho studiato, tutti i feedback e pro/contro annotati, facciano comunque parte della mia bussola nel momento in cui ho deciso di seguire l'istinto e buttarmi nel vuoto. È chiaro che c’è un’alta probabilità di cadere, ma una buona forma mentis che arriva dal percorso accademico o da chi ci è passato prima di te, aiuta comunque a non farsi troppo male e rialzarsi velocemente qualora ci fosse bisogno di cambiare direzione.

Credo che alla fine la sfida più grande sia questa: trovare il giusto equilibrio tra le due componenti, un equilibrio che nessun libro può insegnare e che ogni imprenditore di successo è riuscito a personalizzare.

Secondo te il segreto, ciò che accomuna tutti gli imprenditori di successo, è la passione. Cosa consigli a chi, come te, vorrebbe fondare una startup?

La passione è il primo motore, ma un’idea brillante non ha alcun futuro senza una buona execution. Se facciamo una ricerca sulle motivazioni per le quali una startup fallisce al primo posto troviamo “no market need”. Significa che un imprenditore si innamora a tal punto della sua idea che nemmeno si preoccupa di verificare se questa può avere un effettivo spazio sul mercato. Consiglierei quindi come prima cosa di preoccuparsi di validare la propria idea, almeno tra le famose tre F (family, friends and fools).

La seconda motivazione per cui una startup fallisce è la disarmonia nel team. Circondatevi quindi delle persone giuste e non sottovalutate il potere del networking. Il dizionario definisce una “azienda” come un organismo economico composto da persone. Non è una macchina astratta che produce profitto, è un gruppo di persone che lavorano per un obiettivo comune. Assicuratevi quindi di saper selezionare coloro che sono davvero allineati con la vostra mission sia sul piano tecnico che su quello valoriale.

Dopodiché potete tranquillamente seguire i miei bullet point che avete citato nella terza domanda.