8 aprile 2022

Investire è – anche - una questione di fiducia. Il punto di vista di Paolo Gonano, Massimo Vanzi e Nicolas Ott



Paolo Gonano e Massimo Vanzi, soci IAG, hanno fatto parte a lungo del Comitato di Screening, l’organo che si occupa di selezionare le opportunità di investimento presentate ai soci durante gli Investor Day. Insieme a loro anche Nicolas Ott, entrato a far parte del Comitato nel 2019. Quest’anno IAG festeggia il 15° anniversario dalla sua nascita: scopriamo di più sul Comitato, sul suo funzionamento e sulla sua evoluzione nel corso degli anni insieme ad alcuni dei protagonisti.

PAOLO GONANO

Paolo, tu hai iniziato la tua carriera professionale con esperienze in consulenza (Accenture, Boston Consulting Group) e grandi aziende (Euromobiliare, Piaggio, Seat Pagine Gialle) fino al livello di Direttore Generale di unità di business. Durante la tua carriera ha sviluppato competenze in strategia, marketing, finanza/M&A. Oggi sei imprenditore e business angel con un portafoglio di oltre 15 partecipazioni. Come ti sei avvicinato al mondo delle startup?

Nella mia vita professionale ho sempre ricercato l’ampiezza e varietà di esperienze. Già a inizio anni 2000 ero stato coinvolto dal fenomeno delle nuove iniziative “.com”, antesignane del movimento delle start up che sarebbe seguito dopo qualche anno. Nell’estate del 2011 ho passato un mese nella Bay area di San Francisco con lo scopo di familiarizzare il più possibile con vari attori dell’ecosistema delle start up (società, università, investors, business angels). Di ritorno dal quell’interessantissima esperienza formativa ho proseguito entrando nel network IAG, appunto nell’autunno 2011.

Hai aderito a IAG nel 2011 e sei stato tra i primi membri del Comitato di Screening, l’organo che si occupa di selezionare le opportunità di investimento presentate poi nelle Riunioni Soci, sin dalla sua origine. Puoi raccontarci di più sulla nascita del Comitato di Screening e sul suo ruolo iniziale?

Sono stato chiamato nel Comitato da Marco Nannini, allora Managing Director di IAG, che conoscevo anche per la comune esperienza pregressa in Boston Consulting Group. Era il 2015 e il lavoro del Comitato era certamente più “destrutturato” e meno organizzato di quando - lo scorso anno - l’ho lasciato. Basti dire che per selezionare le opportunità ogni membro del comitato forniva semplicemente una classifica di quelle che venivano analizzate, e su questa base veniva stilata la classifica aggregata che portava all’indicazione di quelle prescelte per la riunione plenaria. Oggi il Comitato di screening si basa su criteri molto più strutturati, su tutti, una griglia di analisi con numerosi parametri e un sistema di pesatura molto sofisticato.

Un aneddoto durante gli incontri del Comitato che ricordi con maggiore piacere?

Il lavoro del Comitato - pur in un’atmosfera di cordialità e amicizia tra i membri - è sempre stato molto professionale con poco spazio lasciato alle distrazioni.
Qualche eccezione però c’è stata: ad esempio quando abbiamo incontrato una start up nell’ambito delle c.d. “dark kitchen” che è venuta al meeting con un campionario di assaggi di prodotti tex-mex. Purtroppo per loro, nonostante questo gradito trattamento, il responso dell’inflessibile (e incorruttibile) Comitato di Screening è stato negativo.

MASSIMO VANZI

Massimo, manager e imprenditore con più di 40 anni di esperienza nel settore elettronico, microelettronico e software ICT. Master of Science all’Università di Stanford in California in elettronica e computer science. Dopo un periodo di ricerca e lavoro negli Stati Uniti, lavori 14 anni in STMicroelectronics in ruoli manageriali. Nel 1993 fondi Accent SpA, la porti ad essere tra i leader mondiali nei chips per smart metering e nei SoC (System on Chip) per applicazioni di sensoristica wireless. Dal 2008 ti occupi di innovazione tecnologica e strategia aziendale per la PMI e in particolare per le startup. Come nasce questa passione nel sostenere giovani aziende tecnologiche nel loro percorso di crescita?

Accent stessa nacque come una micro azienda di 5 ingegneri che in pochi anni assunse più di 150 ingegneri e laureati diventando, come hai detto, leader a livello europeo e mondiale nel modello di business “Fabless ASIC”, come viene chiamato nel mondo dei semiconduttori; il modello di finanziamento iniziale non fu quello tradizionale delle startup come lo conosciamo oggi, partimmo come una Joint Venture di due grandi aziende, una europea e una americana della Silicon Valley, ma dopo 7 anni finanziammo questa volta in maniera più “tradizionale” con l’aiuto di angels e di fondi di VC un Leveraged Buyout che ci rese indipendenti. In quel periodo avevamo circa una quarantina di clienti tra le grandissime aziende di sistemi elettronici e di microchip e anche moltissime startup, che si appoggiavano ai nostri servizi di progettazione e di produzione del chip nelle fasi preliminari del loro ingresso sul mercato. Credo proprio di aver aiutato ad innescare la scalabilità del business di molte startup in quegli anni, apprezzandone gli stimoli tecnologici e motivazionali e coinvolgendomi indirettamente nel loro successo. Per cui quando decisi di andare in pensione e di vendere i principali asset tecnologici della mia azienda decisi di continuare ad operare in questo mondo che finalmente grazie alla nascita di IAG anche in Italia stava diventando il principale enabler dell’innovazione industriale. Chiaramente il mio background e la mia passione per la tecnologia mi hanno sempre spinto ad impegnarmi nel settore che oggi chiamiamo deeptech e che purtroppo in Italia è ancora molti anni indietro rispetto non solo agli USA ma anche ad altre nazioni europee come UK, Francia e Germania. Se mi chiedi come mai questa sia la situazione posso dire che siamo partiti in ritardo, che in Italia investiamo molto anche se dovremmo farlo di più in ricerca ma non siamo capaci di fare trasferimento tecnologico, in troppi casi la ricerca è fine a se stessa e non orientata a creare impresa; nei miei seminari nelle università dico sempre che è piuttosto facile convertire buoni soldi in buona ricerca ma è molto più difficile convertire buona ricerca (quando c’è) in buoni soldi e noi sicuramente non siamo capaci a farlo. Se aggiungi che le nostre università, specie quelle STEM da cui dovrebbero partire la stragrande maggioranza delle idee di nuova impresa tecnologica non hanno la minima capacità di innescare stimoli imprenditoriali nei giovani, anzi spesso danno l’idea che i loro studenti non dovrebbero nemmeno pensarci, allora si capisce bene come mai siamo da questo punto di vista l’ultima ruota del carro nel mondo delle startup tecnologiche.

Socio IAG dal 2008, hai fatto a lungo parte del Comitato di Screening in IAG. Come sono cambiati nel corso degli anni i criteri utilizzati dal Comitato nella selezione delle startup?

Io mi sono associato a IAG dopo nemmeno un anno dalla sua fondazione e quindi posso dire di averne vissuto la nascita e la crescita nei minimi dettagli. All’inizio per alcuni anni l’attività di scouting e di screening fu per tutti noi un esercizio di “learn by doing” sia perché non avevamo mai fatto questa attività sia perché essendo partiti per primi, quando ancora la parola startup in Italia non si sapeva cosa volesse dire (ancora oggi in molti ambienti questa è la regola purtroppo o peggio la gente crede di sapere ma si sbaglia) non esisteva un ecosistema cui appoggiarsi, come comincia ad esistere oggi. Quindi ci siamo appoggiati alla nostra esperienza personale e al nostro intuito imprenditoriale ma soprattutto abbiamo imparato dai nostri errori. Negli anni grazie al contributo di tutti abbiamo sviluppato e poi raffinato un processo di identificazione e di selezione delle opportunità di investimento che io mi sento di definire oggi ottimale e per quanto mi riguarda una “best practice” a livello italiano. Prima di tutto creando un team di analisti, di livello top, che gestiscono il processo, poi coinvolgendo al massimo livello sia i soci esperti sia i nuovi soci nelle varie fasi di selezione, questo è un aspetto fondamentale per cui un gruppo come il nostro è invidiato anche da grandi professionisti del mondo Venture che non potranno mai permettersi un team di esperti della nostra qualità globale. Per finire proprio per essere partiti per primi e per essere cresciuti in maniera significativa sia come soci sia come numero e dimensione di investimenti, possiamo fare tesoro della nostra esperienza singola e accumulata come nessun altro oggi in Italia.

Ci sono stati momenti di discussione o ha sempre prevalso un giudizio unanime nella valutazione delle startup?

Questa è una domanda interessante, sicuramente l’evoluzione del processo di screening in particolare all’interno del CS ha portato ad un continuo miglioramento della qualità delle scelte insieme ad una drastica riduzione dei tempi; ad esempio, quando abbiamo introdotto e poi raffinato la tabella di ranking usata nel CS abbiamo anche ridotto le discussioni concentrandole solo sui veri aspetti qualificanti della scelta. Naturalmente questo non ha evitato del tutto le discussioni che sono inevitabili in funzione delle diverse esperienze personali e delle personalità coinvolte. Del resto, se così non fosse, la scelta si potrebbe demandare ad un algoritmo di intelligenza artificiale, magari prima o poi succederà ma ad oggi le esperienze dei membri del Comitato sono ancora fondamentali. Comunque, per rispondere in dettaglio alla tua domanda, direi che dopo la necessaria discussione non mi ricordo in sei anni che sia mai capitato che qualcuno contestasse la scelta fatta.


NICOLAS OTT

Nicolas, angel investor e advisor presso IAG e LVenture Group, vanti una lunga esperienza nel settore di aziende Telco e IoT. Tra le diverse posizioni lavorative che hai ricoperto, Managing Director in Arqiva Telecom & M2M (UK), Member of the Board of Directors di Wireless Broadband Alliance, Vice President in Strategy, Regulation, Planning & Public Affairs in EE Ltd (UK). Oggi sei Senior Advisor per uno dei più grandi fondi di investimenti privati leader a livello mondiale, Ardian, e per aziende di Consulting in operazioni di M&A nelle telecomunicazioni. Come ti sei avvicinato al mondo degli investimenti?

Durante gli anni trascorsi in Inghilterra, ho avuto modo di effettuare diversi investimenti. Un processo che mi ha sempre affascinato. Sempre attratto dalla ricerca dell’innovazione, ho viaggiato alla scoperta di nuove tecnologie sia negli Stati Uniti che in Giappone. Quando ho lasciato l’Inghilterra per trasferirmi in Italia, la scelta di avvicinarmi al mondo delle startup e di associarmi a IAG, è stata molto naturale.

Raccontaci di più sulla tua esperienza nel Comitato di Screening, nel quale sei entrato a far parte nel 2019.

Per me è un grande piacere far parte del Comitato: un gruppo di persone con la passione di utilizzare la loro complementarità per identificare le migliori opportunità di investimento per i soci di IAG. È molto interessante perché c'è sempre qualcosa da imparare sia dalle start-ups, grazie alla loro infinita diversità, sia dagli altri membri del comitato, ciascuno con il proprio modo di analizzare e giudicare le start-ups basato sulle diverse esperienze e competenze. Mi spiace di non essere mai essere riuscito a partecipare in presenza al Comitato, dove Carlo, il nostro Presidente, porta le sue ciliegie...

Investire è – anche - una questione di fiducia: quali sono i criteri fondamentali per valutare una startup e darle fiducia?

Penso che siamo più o meno tutti d'accordo sui criteri fondamentali per valutare una start-ups, ed è anche il motivo per il quale il comitato utilizza una griglia formale per documentare i pareri, e poi decidere. Per me, i più importanti sono i) la qualità del team (competenza e seniority nel soggetto, chiarezza, focus sui punti chiave, e se hanno già gestito una start-up o una ditta con successo); ii) il valore aggiunto, l'unicità del progetto e sue barriere all’ingresso; iii) il giusto equilibrio tra una forte ambizione rimanendo realistici sul piano finanziario, commerciale e operativo; iv) e infine la probabilità di fare un exit di successo a medio termine.