5 ottobre 2022

L’Italia è un Paese per Champions



È nato prima l’uovo o la gallina? Ovvero, guardando al mondo degli investimenti in innovazione: sono nate prima le startup o i capitali?

Gianluca Dettori, tra i massimi esperti di hi-tech e innovazione digitale in Italia, fondatore e partner di Primomiglio SGR, oggi Primo Ventures, e Presidente di Italian Tech Alliance, l'associazione che riunisce i principali attori dell'innovazione in Italia, di cui anche IAG fa parte, non ha dubbi: «Prima di tutto, ci sono state le persone». Persone che, come lui, hanno scelto di creare qualcosa che ancora in Italia non esisteva. Pionieri dell’ecosistema dell’innovazione italiano che sono partiti coltivando un sogno e impegnandosi, giorno dopo giorno, oltre ogni facile disfattismo, per renderlo più concreto. Oggi? «Restano ancora alcune cose da fare, ma abbiamo sicuramente un nutrito numero di galline e un bel paniere di uova».

Dettori, come inizia il suo viaggio nel mondo del Venture Capital?

«Sono nato come imprenditore e la mia impresa – Vitaminic, piattaforma per la distribuzione di musica digitale su web e mobile, ndr -, è stata resa possibile proprio grazie al Venture Capital, con una raccolta da oltre 50 milioni di euro. Come tutte le avventure, però, a un certo punto cambiano, ti sorprendono. Così è accaduto a me: ho lasciato la carica di CEO e ho preso un periodo sabbatico di tre anni. Non sapevo esattamente cosa avrei fatto del resto della mia vita. Il mio piano iniziale era trasferirmi a San Francisco, che era un po’ la Mecca della tecnologia. Poi, è accaduta la cosa più semplice e comune del mondo: ho incontrato mia moglie, mi sono innamorato e abbiamo messo su famiglia. Volevamo che i nostri figli crescessero in Italia e così, sono rimasto. E proprio il diventare padre che mi ha fatto scattare qualcosa dentro. Erano gli anni in cui si descrivevano i giovani come eterni “bamboccioni”, eppure io, nella mia carriera, avevo incontrato decine, se non centinaia, di ragazzi e ragazze in gamba, con fior fior di studi. Certo, troppo spesso erano costretti ad accontentarsi di lavori routinari, poco valorizzanti e per niente orientati alla crescita. Non era questo il paese che avrei voluto per i miei figli. Così, decisi di avviare un’attività permanente di Venture Capital con altri amici e colleghi: dPixel. Era il 2006».

Il resto è storia. Ha fondato ed è presidente di Primomiglio SGR, oggi Primo Ventures, società di venture che gestisce fondi specializzati nel settore digitale (Barcamper Ventures, Barcamper Ventures Lazio e Primo Digital) e nel settore della new space economy (Primo Space Fund), divenendo protagonista di un settore in profonda evoluzione. Come giudica oggi il venture capital italiano?

«Rispetto a 15 anni fa, è davvero cambiato tutto. Ci sono state alcune milestone, come il decreto startup del ministro Passera durante il governo Monti, la nascita di IAG, l’avvio di Fondo Italiano di Investimenti. La svolta si è avuta quando le istituzioni hanno deciso di dare attenzione a questo tema. E oggi, l’impegno di Cassa Depositi e Prestiti è totale. Lo sviluppo di queste forze nel mercato ha consentito anche all'Italia di attrarre già molti capitali dall'estero, avendo spesso come partner lo European Investment Fund che ormai da molti anni segue con attenzione il nostro ecosistema investendo capitali molto significativi. Mettendo insieme tutti questi attori, i portafogli sono diventati importanti, le startup hanno iniziato a proliferare, i capitali sono aumentati. Forse, non pensavamo neanche noi che sarebbe stato possibile cambiare così profondamente le cose. Dovevano dimostrarcelo i fatti, la realtà. Ora ci siamo arrivati e non abbiamo più dubbi: anche l’Italia è un paese per Champions. Un esempio su tutti? Cortilia. Ricordo ancora l’incontro davanti a un power point, la loro prima presentazione, e poi, ora, il grande successo con un fatturato da 40 milioni di euro e una società da 400 persone. È proprio vero che le startup sono come dei calabroni: non sai come fanno a volare, ma ci riescono benissimo».

A marzo 2021 è stato nominato presidente di Italian Tech Alliance, l'associazione che riunisce i principali attori dell'innovazione in Italia, inizialmente fondata con l’obiettivo di sviluppare un think tank per dare maggiore voce al mondo del VC e degli investitori in innovazione. Oggi l’associazione, di cui anche IAG fa parte, vede una rappresentanza paritetica di investitori e imprenditori, come avviene in altri Paesi europei. Quali azioni potrebbero favorire l’ulteriore sviluppo dell’ecosistema innovazione?

«Potrei rispondere ponendo l’accento sui capitali, ma la verità è che i soldi non sono tutto. Certo, dobbiamo vedercela con mercati più floridi, ma Cassa Depositi e Prestiti sta facendo un grande sforzo per recuperare terreno, nuovi fondi stanno partendo, ci sono interessanti iniziative sul corporate venture capital, acceleratori diffusi sul territorio. Insomma: c’è un’infrastruttura che prima non esisteva. Ciò su cui dobbiamo ancora lavorare, ed è fondamentale farlo con realtà come IAG, è la cultura dell’innovazione che va diffusa a diversi livelli. Inoltre, bisogna essere più connessi al mondo internazionale e questo è uno degli obiettivi prioritari che io stesso mi sono dato con Italian Tech Alliance. Vorrei un mercato più aperto e più semplice, questo sì che potrebbe fare la differenza. Per riuscirci abbiamo bisogno di una collaborazione su più fronti: education, stakeholders, founders, investitori, governo, imprese. Un vero lavoro di squadra».

Del resto, il venture capital è essenziale per la crescita economico-sociale non solo per le startup ma anche per l’economia nazionale. Qual è il valore aggiunto che Italian Angels for Growth può dare in questo contesto e quale ruolo potrebbe giocare per stimolare la nascita di nuove startup e favorirne la crescita fino ad accompagnarle nelle braccia dei VC?

«Il lavoro di IAG è stato ed è importantissimo. Ricordo ancora gli inizi, grazie alla felice intuizione dell’Ambasciatore Spogli. È attraverso l’Ambasciata che ci siamo incontrati e che abbiamo iniziato a collaborare. Ecco, conoscersi è fondamentale perché il nostro è un business basato sulle persone: bisogna incontrarsi per generare fiducia. Gli angels di IAG hanno fatto un lavoro eccezionale: si sono assunti dei rischi, hanno investito, hanno creduto in questo sistema e in questo paese. Sono cresciuti negli anni fino ad arrivare a ciò che sono oggi. E per chi, come me, si occupa di Venture Capital sono partner eccezionali».

Una delle esperienze che avete condiviso riguarda Cubbit, il primo provider europeo di cloud storage distribuito nato da quattro studenti italiani. Sia Primo Ventures che IAG hanno partecipato al round Series A della startup. Cosa le ha lasciato questa collaborazione?

«Sia noi che IAG ci concentriamo nei seed early stage, la fase iniziale, ed è ciò che più ci appassiona. Gli angels di IAG sono molto bravi a porsi al fianco dell’imprenditore in questa fase: incorporano aspettative, conoscenze di mercato, tecnologie, denaro, ovviamente. Insomma, generano meccanismi virtuosi che fanno bene all’intero sistema, e la nostra collaborazione con Cubbit e anche con altre esperienze, è ottima. Per questo, auguro a IAG di continuare così e, possibilmente, di fare ancora meglio, spingendo i suoi angels a radicarsi in ogni area d’Italia, prendendo davvero esempio dal modello americano dove gli angels sono la forza dell’economia. Un destino possibile, anche in Italia».