14 marzo 2022

Massimo Jakelich: “Dare un viso ad un portafoglio”



Massimo Jakelich, business angel di Italian Angels for Growth, da dicembre 2011 è Chief Investment Strategist di Azimut Wealth Management, Strategist e Senior Portfolio Manager, nonché Membro dei Comitati di Investimento del team Discretionary Portfolio Management e del team Advisory di Azimut Capital Management SGR. Conosciamolo meglio.

Hai iniziato nel 1990 presso la Banca Popolare dell’Emilia-Romagna. Nel 2000, il passaggio alla Popolare di Verona. Poco dopo, nel 2002, hai contribuito alla nascita della branch italiana di Vontobel, la banca privata svizzera specializzata in asset management e private banking, per poi spostarti in Azimut. Gestore di grandi patrimoni, come comprendi le esigenze del cliente?


In questi trent’anni di attività sui mercati finanziari ho superato tanti momenti delicati e crisi profonde che sono passate alla storia.
Avevo i “calzoncini corti” quando scoppiò la prima guerra del Golfo nell’agosto del 1990, pochi mesi dopo la mia prima assunzione, ed ero ancora alle prime armi quando arrivò la crisi della Lira nel 1992 e quella dei tassi nel 1994. Fu un momento di tensione anche il crollo del fondo LTCM e del debito Russo del 1998.
Nel 2000 siamo stati messi alla prova dalla bolla della New Economy, ma niente in confronto allo shock dell’attentato alle Torri Gemelle del 2001, che non potrò mai dimenticare perché ero diventato papà da appena una settimana.
La crisi finanziaria del 2008, con la conseguente recessione economica, è stata la madre di tutte le crisi, che ha lasciato il segno sulla pelle dei gestori ma che io ho passato praticamente indenne per la mia propensione alla gestione conservativa.
La “crisi del debito sovrano” nel 2011, risolto con il famoso “whatever it takes” di Draghi del 26 luglio 2012 e poi ancora la svalutazione del renminbi cinese del 2016 per arrivare ai giorni nostri: due anni di pandemia e lo scoppio di una guerra nel cuore dell’Europa.
Nel frattempo, cambiava il quadro normativo, la tecnologia prendeva il sopravvento e la Moneta Unica ci apriva nuovi scenari.
Ho attraversato questi momenti prima come gestore junior, negli anni 90, e poi senior e responsabile di servizio in Bper Banca e Popolare Verona. Sono stato Direttore Investimenti nella SGR che aprimmo in Italia per conto del gruppo Vontobel di Zurigo nel gennaio 2002. Dal 2011 in Azimut ricopro il ruolo di Strategist e Senior Portfolio Manager nell’ambito della SGR italiana, Chief Strategist della divisione di Wealth Management e membro attivo nei vari comitati di investimento del Global Team Azimut, del Team Discretionary e del Team Advisory.
La mia peculiarità è sempre stata quella di ricoprire sia un ruolo tecnico che consulenziale, confrontandomi costantemente con gli investitori, sia che fossero imprenditori o singoli gruppi familiari. Questo mi ha permesso di sviluppare una spiccata sensibilità per le esigenze dei clienti, un forte orientamento al cliente.
Quando un gestore si trova a gestire dei portafogli finanziari senza un confronto diretto con chi vi sta dietro, si concentra spesso su meri aspetti tecnici o di confronto con parametri di mercato che tendono ad essere però anche impersonali.
Quando invece si dà “un viso ad un portafoglio”, come dico sempre, ci si accorge di quali storie, vite, aziende vi siano dietro. I capitali finanziari sono importanti per tutti, ovviamente, ma così come la gestione oculata fornisce un senso di sicurezza alla persona o ad una qualsiasi azienda, la perdita di un capitale finanziario impatta direttamente anche sulla salute psicologica e spesso fisica dell’investitore.
Il confronto diretto con il cliente aiuta ad evitare un eccesso di over-confidence e accresce il senso di responsabilità.


Competenze che hai deciso di condividere in IAG, dove fai parte anche della Fintech Community. Ci racconti come ti sei avvicinato all’associazione e la tua esperienza di business angel?


Mi sono iscritto a IAG nel marzo 2017 per curiosità personale e professionale, dietro anche la sollecitazione e presentazione al direttivo da parte del mio amico Carlo Tassi. Mi colpì la sua passione nel raccontarmi la sua esperienza di Business Angel fatta con spirito imprenditoriale e fortemente orientato verso l’innovazione.
Azimut si era mossa già qualche anno prima verso il mondo dell’economia reale con il progetto Libera Impresa, dal quale nacque poi l’SGR dedicata agli investimenti alternativi non quotati. Personalmente sono sempre stato arricchito dal confronto con un imprenditore, abituato a parlare di elementi concreti della vita della sua azienda. La finanza quotata invece, e soprattutto negli ultimi anni, si muove su un piano molto diverso dalle tematiche tipiche dell’impresa. Elementi come il sentiment, i flussi, l’analisi dei prezzi e i movimenti quantitativi indotti dalle Banche Centrali, hanno assunto un’influenza sempre maggiore nei mercati finanziari. Parlare con l’imprenditore permette ad un gestore global macro come il sottoscritto di tornare con “i piedi per terra” per confrontarsi con tematiche molto più micro, come l’influenza dei costi sui margini, il business plan, le prospettive M&A, attività tipiche di un analista finanziario.
In Azimut, con la SGR Azimut Libera Impresa, abbiamo avviato investimenti diretti o in accordo con grandi gruppi internazionali in fasi più avanzate nel ciclo di vita di un’impresa non quotata.
Il business angel lavora invece in una fase molto prematura, di early stage, quando l’impresa spesso non esiste ancora. Per questo motivo la partecipazione in IAG integra perfettamente le mie conoscenze nel mondo del non quotato.


IAG collabora anche con il fondo Digitech – Azimut Libera Impresa (Gruppo Azimut), con il quale ha già realizzato insieme il round di finanziamento in Cubbit, e con il quale ci sono altri investimenti in pipeline. Come valuti la collaborazione tra un gruppo di angel professionali e un fondo di investimento istituzionale?


La ritengo una ottima sinergia che sfrutta le verticalità e le competenze di un gruppo specializzato come Gellify, che è delegato da Azimut nella gestione del fondo Digitech, con le maggiori masse messe a disposizione per gli investimenti da parte sia di IAG che di Azimut. Inoltre, la sinergia tra un network di Angels ed un gruppo istituzionale permette di intercettare più efficacemente le opportunità di investimento che possono presentarsi di volta in volta sul mercato.


Un business angel può e deve andare oltre le proprie consolidate e rassicuranti abitudini di investimento? Diversificazione e innovazione sono armi di difesa a protezione del proprio patrimonio?


Già negli anni ’50 dello scorso secolo l’economista Markowitz basava la sua teoria della frontiera efficiente sulla diversificazione di un portafoglio. L’abbinamento fra investimenti quotati e non quotati segue ed amplifica questo concetto.
All’inizio della mia carriera le informazioni sui mercati finanziari quotati erano scarse; per questo l’analisi fondamentale su un’azienda quotata permetteva di recepire informazioni migliori e in anticipo rispetto ad altri gestori. Oggi tutti posseggono informazioni in tempo reale sui mercati quotati ed è molto difficile trovare delle sottovalutazioni evidenti non viste dal mercato. I prezzi dei titoli assorbono già tutte queste informazioni perché i mercati quotati sono molto più efficienti di trent’anni fa. Ovviamente un investitore che giudica sottovalutato un titolo lo fa in base ad un proprio scenario. Però se il titolo è “apparentemente” sottovalutato rispetto a classici parametri fondamentali (ad es. il p/e), significa che buona parte del mercato è ben a conoscenza di questa sottovalutazione ma ritiene che, per svariati motivi, sia giusto attribuirvi quel prezzo. Nel mondo del non quotato invece è tutta un’altra cosa. Conoscere a fondo il management di una azienda, entrare nel merito del suo bilancio, sapere prima di altri la strategia di sviluppo sono parametri fondamentali per “arrivare prima di altri” a scegliere dove investire.
Le variabili personali per la costruzione di un portafoglio sono sempre tre: propensione al rischio (quale volatilità sono disposto a sopportare per i miei investimenti), aspettative di rendimento ed orizzonte temporale. Credo che un buon consiglio sia quello di separare le aspettative per la gestione del proprio capitale in funzione di specifici obiettivi (la pensione, le esigenze dei figli, l’acquisto della seconda casa, le emergenze impreviste etc…). Se si adotta un sano principio di pianificazione finanziaria e si utilizzano per il proprio patrimonio anche investimenti non quotati, abbinandovi le giuste aspettative temporali, si incrementa significativamente l’aspettativa del rendimento su tutto il portafoglio.


Il Fintech ha significato un totale stravolgimento in un settore altamente tradizionale come quello bancario di cui hai fatto a lungo parte. Come racconteresti questa evoluzione? Questo nuovo modo di fare banca, economia e finanza necessita di capitale umano che abbia gli strumenti per poterlo approcciare. Siamo pronti?


Ho lavorato nel settore bancario diciamo tradizionale, pur seguendo il settore dell’asset management e del private banking, per tanti anni. Fino a quindici anni fa vigeva la regola della penetrazione del mercato in maniera orizzontale (sportelli in ogni angolo delle vie) da parte delle banche commerciali. Queste ultime basavano la propria redditività prevalentemente sul margine di interesse intermediando denaro fra chi lo depositava e a chi lo si prestava. Il margine da servizi, da intermediazione o da altri settori rimaneva sempre secondario. Poi arrivò la crisi del 2008 con il conseguente crollo dei tassi di interesse. Per le banche derivarono due aspetti principali: i requisiti di capitale sempre più stringenti nella concessione di prestiti ed il crollo dei tassi di interesse che logorò, poco alla volta, la capacità di erogare credito (e di conseguenza fare utili) da parte delle banche. A questo va aggiunto il subentro della tecnologia che di per sé sostituiva con il digitale la presenza fisica dell’operatore. Il declino che ha colpito dal 2007 le banche italiane riguarda proprio l’incapacità di ridurre costi fissi velocemente (rappresentati da filiali e personale) rispetto a come invece iniziarono a scendere i ricavi. Le banche stanno provando a reagire con un processo di aggregazione che porti a maggiori efficienze nelle economie di scala. Per contro, riducendosi le alternative sul mercato, la struttura dei prezzi portata da una minor concorrenza risulta, per il cliente bancario, meno efficiente. Le attuali fintech partono da un concetto opposto. Sono generalmente scarsamente “capital intensive”, digitali e molto spesso specializzate e non generaliste. Inoltre, stanno aumentando sempre di più. Per esempio, i prestiti concessi dalle fintech in Italia (il fintech lending) ha moltiplicato, negli ultimi tre anni, per dieci i volumi intermediati ed il numero delle imprese interessate. Credo che le Fintech siano molto più in linea alle esigenze di un imprenditore moderno. In Azimut abbiamo raccolto più di 1,5 miliardi di euro da parte degli investitori, peraltro con strumenti fortemente incentivati con misure fiscali dallo Stato, che destinano il credito verso le PMI non quotate così come su tanti altri strumenti di credito alternativo. Mentre i tassi di interesse dei titoli obbligazionari quotati risultano ancora oggi fortemente condizionati dai movimenti di repressione finanziaria da parte delle Banche Centrali, con il paradosso dei tassi di interesse negativi che stiamo ancora osservando, nel mondo del credito non quotato la relazione fra rischio di credito e prezzo (o tasso di interesse) è molto più lineare. Ovviamente occorre una competenza e una conoscenza del settore non comune nel mondo del quotato ma l’asimmetria informativa permette anche di trovare occasioni di investimento impensabili nel tradizionale mondo del credito quotato. Siamo convinti che il “ponte”, il collegamento fra le società di gestione specializzate negli investimenti in economia reale, sia nel private debt che nel private equity, che mettono in relazione diretta l’investitore con l’impresa, disintermediando le banche, porti interessanti occasioni di investimento che solo fino a pochi anni fa erano generalmente precluse all’investitore italiano.