15 luglio 2022

Donne e Imprenditorialità: intervista a Lucia Romagnoli



Imprenditrice e Manager Commerciale/Marketing con esperienza internazionale nell'industria metalmeccanica, acquisita nel settore delle macchine automatiche per imballaggio.

Lucia Romagnoli da alcuni anni svolge attività di consulente d'impresa e si interessa anche di startup innovative, nella veste di Business Angel e Angel Investor. Conosciamola meglio.

Qual è la tua esperienza professionale?

Per raccontare un po’ la mia storia, devo partire dicendo che il mio percorso professionale è (purtroppo, dal punto di vista anagrafico…) molto lungo: l’inizio risale al 1980, quando sono entrata nella IMA Industria Macchine Automatiche spa, di cui mio padre era stato fondatore negli anni 60. Io, appena laureata in lingue straniere, non avevo le idee molto chiare, pensavo di diventare un’interprete internazionale, poi però mi sono detta: perché non provare a vedere com’è lavorare in IMA? Dopo tutto, volevo continuare ad esercitare le lingue e la IMA era già un’impresa internazionale. Quindi mio padre mi ha piazzato a fare esperienza in un’aziendina della IMA distaccata dalla sede, in provincia dall’altra parte di Bologna: io non sapevo NULLA del mondo dell’impresa... quindi i primi tempi sono stati un po’ uno choc. Poi pian piano, siccome sono alquanto determinata e un po’ caparbia, e volevo imparare tante cose, mi sono ambientata e il meccanismo dell’impresa di beni industriali ad alta tecnologia che era la IMA a quel tempo (e che ancora è) ha cominciato a piacermi molto. Tanto che, dopo i primi 9 anni di lavoro, ho deciso di smettere di lavorare per 1 anno per fare un Master in Business Administration, per colmare le grosse lacune che avevo realizzato di avere nelle materie aziendali.

In seguito, sono passata al Marketing nella sede di Ozzano e poi in quella di Castenaso, dove mi sono occupata per anni delle Ricerche di Mercato e di Pianificazione Strategica di Gruppo. Poi nel 93 mio padre (forse spinto anche da me) ha deciso di lasciare la IMA e acquisire una piccola azienda, la TECNOMECCANICA, che faceva altri tipi di macchine, molto meno tecnologiche: insieme a mio fratello Alberto, entrato nel 97, l’abbiamo trasformata totalmente, e abbiamo iniziato a progettare/costruire/vendere macchine per bustine da tè, di cui mio padre era il progettista nr 1 al mondo, e io conoscevo bene il mercato, avendo lavorato tanti anni nel marketing/vendite della IMA.

I nostri anni in TECNOMECCANICA, dal 93 al 2011, sono stati una sfida: eravamo una PMI, ma volevamo progettare, costruire e vendere macchine automatiche ad alta tecnologia, molto impegnative dal punto di vista di R&S e sperimentazione/collaudo. Per di più, le volevamo vendere in vari paesi del mondo, i maggiori consumatori di tè in bustine, e quindi dovevamo creare da zero una rete commerciale e anche lanciare un brand completamente sconosciuto nel mercato, cosa che ho fatto in prima persona, in vari anni di lavoro. I primi risultati di vendita sono arrivati verso la fine degli anni 90, e dal 98 al 2011 abbiamo venduto più di 150 macchine, ma l’impegno finanziario si è rivelato troppo pesante per la sola nostra famiglia. Quindi abbiamo cominciato a cercare un partner industriale, e quando nel 2007 il gruppo COESIA (uno dei gruppi industriali più importanti di Bologna) ci ha contattato perché erano in cerca di un settore di diversificazione, abbiamo stretto con loro un patto di graduale vendita delle nostre quote, fino alla vendita totale nel 2011.

È stata una decisione faticosa, certamente, ma noi eravamo convinti che se avessimo voluto fare crescere la nostra azienda in un mercato internazionale e competitivo, un azionista industriale di riferimento come COESIA sarebbe stato l’ideale per il futuro delle nostre macchine e dei nostri dipendenti. Molte PMI sono condannate a non crescere perché l’imprenditore non vuole cedere la maggioranza; invece, noi non volevamo essere un ostacolo allo sviluppo della nostra azienda, volevamo invece che la nostra azienda potesse crescere con un player internazionale, e la scelta è stata giusta. Oggi le nostre macchine costituiscono la linea di business tè dell’ACMA spa, dentro al gruppo COESIA.

Come ti sei avvicinata al mondo dei business angel entrando a far parte di Italian Angels for Growth (IAG) nel 2018?

Quando sono “uscita” dall’industria delle macchine per packaging, ho voluto cercare attività diverse da quelle che avevo esercitato per 30 anni, e pian piano mi sono avvicinata al mondo dei Business Angels, mondo molto diverso da quello dell’industria. Per alcuni anni ho “studiato” e mi sono informata, ho cominciato a conoscere BA e startup varie, perché mi attraeva l’idea di stare in contatto con realtà e persone giovani, con idee nuove e innovative al passo con le nuove tecnologie digitali.

Quello del BA è un mestiere molto diverso da quello dell’imprenditore: l’imprenditore (almeno come l’ho vissuto io in famiglia) fonda la sua azienda e spesso ci resta per lungo tempo, specialmente se ha successo, mentre il BA entra in una startup e se ha successo, ne esce dopo circa 3-5 anni, a volte anche di più. Ci sono BA che hanno a portafoglio 20-30 startup. Io mi sono avvicinata con grande prudenza a questa attività vari anni fa e devo dire che non sono ancora entrata pienamente in questa mentalità: ho capito che fare la BA da sola è molto rischioso, in quanto il tasso di mortalità di queste startup è molto alto, e quindi qualche anno fa ho deciso di entrare nel network italiano più consolidato, Italian Angels for Growth (IAG). Lavorando insieme ad altri soci IAG competenti in materie diverse, non dico che il rischio viene annullato, ma diciamo viene “condiviso” con altri BA che hanno competenze le più diverse, e questo mi rassicura.

Quest’anno IAG festeggia 15 anni dalla sua nascita. Cosa ricordi con maggior piacere di questi anni di crescita del network?

In IAG ora ci sono più di 270 soci, di cui circa il 15% sono donne. Ricordo che ai primi incontri IAG a cui partecipavo, le donne erano veramente poche. Ancora non sono molte, per noti motivi: scarsa propensione alla finanza, poca conoscenza delle imprese, accumulo di impegni familiari che poco si conciliano con professioni impegnative e ad alto rischio di perdite. Del resto, la percentuale di donne in IAG non è molto diversa da quella delle donne manager nelle aziende industriali, quindi diciamo che ci sono abituata ad operare in ambienti in cui gli uomini sono in maggioranza. Però in questi anni ho visto con piacere che in IAG, come in altri ambienti professionali, ci sono tanti segnali positivi che queste percentuali stanno lentamente aumentando, e spero aumenteranno sempre più.

La mission di IAG è quella di facilitare l’investimento di capitali privati nell’ecosistema delle startup italiane e internazionali, diventando il punto di incontro tra imprenditori, investitori e aziende, mettendo competenze e capitali al servizio delle idee innovative. Dal tuo punto di vista, come rafforzare ancor più la spinta alla crescita e alla prosperità nel nostro Paese?

Sembrerà banale, ma credo che finché l’Italia non farà emergere sempre più donne in posizioni dirigenziali nelle imprese, nella PA, nei Servizi, in ogni settore, sprecherà un capitale prezioso, di cui non può più fare a meno. Le donne sono troppo poche nelle posizioni dirigenziali: sono solo il 27% contro il 34% della media OECD, e anche se non siamo proprio ultimi in questa graduatoria, sono davvero tanti i Paesi che ci superano. Da parte loro, le donne che vogliono raggiungere posizioni apicali dovranno a mio parere applicarsi sempre più in lauree STEM, perché sono quelle le lauree che le imprese in futuro richiederanno sempre di più.

Dal punto di vista della politica, è ora che i nostri Governi varino sempre più leggi che aprono più opportunità alle donne disponibili a mettersi in gioco in settori che finora sono stati prevalentemente maschili (quello della finanza, per esempio). E gli ultimi Governi qualcosa hanno fatto di buono, ma bisogna insistere e portare avanti con determinazione le istanze delle donne in tutte le istituzioni pubbliche.

A dicembre 2021 è stato reso operativo il Fondo Impresa Donna, istituito con la Legge di Bilancio 2021 per sostenere investimenti e servizi nell’imprenditorialità femminile. Possiamo dire che “non esiste un modo di fare impresa al maschile o al femminile: un’impresa deve stare sul mercato, e le leggi di mercato non fanno distinzioni di genere”. Tuttavia, per competere è necessario che le condizioni siano le stesse per chiunque vi opera. Qual è la tua opinione in merito?

Il Fondo Impresa Donna è proprio un buon esempio di quelle leggi che dicevo prima, leggi che sostengono l’imprenditorialità femminile, e io sono sempre stata convinta che per stare sul mercato, non importa se l’impresa è “maschile” o “femminile”: quello che conta sono le capacità e le competenze di chi la guida e che sa intercettare le esigenze del suo mercato di riferimento.

È necessario che il sistema Italia si accorga che le donne possono apportare dei plus in tutte le organizzazioni, private e pubbliche; quindi, è importante che le istituzioni aiutino le donne con leggi che permettano loro di competere come gli uomini (partendo proprio dai servizi di base alla famiglia, come asili nido, scuole a tempo pieno, campus estivi ecc.).

Tuttavia, è altrettanto importante che per prime siano le giovani generazioni di donne ad impegnarsi per raggiungere posizioni apicali: bisogna studiare le materie giuste, prepararsi per competere, impegnarsi anche più degli uomini per dimostrare che si vale.

Non è facile, ma sono convinta che anche in Italia ci saranno sempre più donne pronte e preparate per mettersi in gioco.